Gli organi di gestione
Novità si riscontrano anche con riferimento ai vigenti organi dell’Ente Parco.
Nel modello di gestione delle aree naturali protette, di cui alla legge del 1981, il legislatore regionale affida
ad un organismo, l’Ente Parco, quale ente pubblico sottoposto alla vigilanza dell’Assessorato Regionale
Territorio e Ambiente, il compito di mediare tra diverse istanze di natura politica, sociale e culturale
che ineriscono alla gestione dell’ambiente.
L’amministrazione regionale, in quanto titolare dell’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente, esercita un
controllo sulle modalità gestionali delle aree da preservare, intervenendo nelle fasi di gestione, di regolamentazione
e di programmazione dello sviluppo di queste zone la cui sintesi, dal punto di vista organizzativo, avviene
nell’organo del Presidente dell’Ente Parco di diretta nomina regionale.
Nel nuovo disegno di legge al Presidente permane il conferimento della rappresentanza legale dell’Ente Parco,
il suo indirizzo e il suo coordinamento. Tuttavia, rispetto alla disciplina vigente, in cui le sue funzioni
ulteriori venivano individuate in negativo , il nuovo disegno di legge prevederebbe un lungo elenco di competenze,
da ritenersi a titolo esemplificativo, richiamando quanto già contenuto nella Legge Regionale n. 10/2000.
Inoltre, il Presidente avrebbe il potere di adottare provvedimenti in situazioni di urgenza e indifferibilità,
che sarebbero di competenza del Consiglio Direttivo del Parco, salvo successiva ratifica da parte dello stesso Consiglio.
La norma individua, poi, sia per il Presidente che per i Consiglieri, situazioni di incompatibilità a ricoprire la carica:
specificatamente, il Presidente dell’Ente Parco, se già sindaco o assessore comunale o presidente di organi di
gestione di altre aree protette, non potrebbe assolvere all’incarico direttivo dell’Ente Parco proprio per
evitare stridenti situazioni di interessi tali da confliggere tra loro.
La seconda sollecitazione, di cui la legge regionale n. 98/81 si è fatta carico, proviene dalla comunità
scientifica ed ambientalista che, nel quadro vigente, viene inserita nell’ambito del Comitato Tecnico Scientifico,
ma che trova adeguata collocazione anche nella nuova prospettiva di un CTS centralizzato, attraverso l’allargamento
della sua composizione e la valorizzazione delle sue funzioni.
Al mondo accademico e ambientalista viene, quindi, ribadita la possibilità di interferire direttamente sui
principali provvedimenti che interessano la vita e il funzionamento del Parco nonché delle riserve naturali,
come punto di mediazione tra le esigenze delle collettività territoriali ed una prospettiva più tecnica e
scientifica nella gestione dell’Ente Parco.
Per la sua composizione variegata, che origina dal mondo scientifico e da quello dell’associazionismo, e non
propriamente da quello politico e istituzionale, il CTS ha mantenuto, anche nel nuovo disegno di legge, un ruolo
di maggiore imparzialità e autonomia di giudizio, laddove venga chiamato a rilasciare pareri di ordine giuridico
o tecnico scientifico sui più importanti atti che vengono adottati dagli organi cui spetta la gestione
amministrativa dell’Ente Parco, o sulla programmazione delle attività compatibili.
All’interno del modello organizzativo, delineato dal legislatore regionale del 1981, anche le comunità locali,
laddove avessero temuto un assetto eccessivamente vincolistico nell’uso del proprio territorio in seguito
alla scelta di istituirvi un’area protetta, hanno trovato degli strumenti idonei dove rappresentare le loro
istanze; la normativa vigente garantisce la partecipazione delle popolazioni residenti all’interno di
un’area sottoposta a restrizioni, sotto il profilo dell’uso generale del territorio, sin dal momento
della formulazione della proposta istitutiva.
C’è da dire, che non sempre, purtroppo, questa opportunità è stata vista con favore e non è stata, quindi,
sfruttata in tutte le sue potenzialità: sin dall’inizio, infatti, l’approccio nei riguardi dell’area
protetta non ha visto abitanti e istituzioni schierati nella stessa posizione e la contrapposizione
degli interessi non ha, certo, contribuito a mitigare gli effetti negativi che sono derivati dalla
istituzione dell’area protetta, o alla individuazione di potenzialità di crescita economico-sociale
alternative rispetto a forme di sviluppo poco sensibili alle tematiche ambientali.
La mancata collaborazione tra le parti interessate ha rappresentato un gap nello start up dell’area
protetta che ha favorito, nell’ impassibilità delle popolazioni e delle istituzioni - maturata su un
sentimento di frustrazione per aver subìto, nei fatti, l’espropriazione dell’uso del proprio territorio -
il consolidamento di una visione cristallizzata del paesaggio e non ha incoraggiato l’uso dello strumento
“area protetta” per svilupparne le potenzialità anche sotto il profilo economico.
Tuttavia, nell’ottica del legislatore regionale questa collaborazione, questa gestione concordata del territorio
esiste, proprio per rendere accettabile, sul piano dei costi sociali, l’individuazione di un modello di tutela e
salvaguardia dell’ambiente rigoroso e limitativo delle attività economiche esercitabili ma, certamente,
perfettibile con il contributo di chi vive e abita un territorio sottoposto a vincolo.
Nel nuovo disegno di legge questo rapporto partecipato viene conservato anche se con forme e metodologie diverse.
Intanto, il vigente Consiglio del Parco, verrebbe sostituito dalla “Comunità del Parco”: quest’ultima,
pur mantenendo l’attuale assetto nella composizione, viene disciplinata come organo di sintesi tra le istituzioni
e le collettività locali di cui sono espressione, ma stravolgerebbe totalmente, nelle sue funzioni originarie,
l’organo attualmente in vigore.
L’assetto ordinamentale attuale prevede, infatti, che il Consiglio del Parco è chiamato ad approvare i principali
strumenti di programmazione necessari al funzionamento dell’Ente Parco compensando, così, l’erosione delle
competenze amministrative, dovute all’istituzione dell’area protetta, con il potere di incidere nella
elaborazione degli strumenti che presiedono alla individuazione delle attività compatibili con le finalità del parco.
Questa derivazione diretta, delle scelte adottate dall’Ente Parco, dalla volontà dei rappresentanti delle
collettività territoriali, ne cementa il potere partecipativo nella condivisione delle scelte sul territorio di riferimento.
Nella previsione del disegno di legge, invece, la Comunità del Parco svolgerebbe funzioni consultive e
propositive e, nei confronti dei principali atti che consentono la vita e la gestione dell’Ente Parco,
potrebbe solo emanare dei pareri di natura obbligatoria .
I poteri sottratti all’attuale Consiglio del Parco, nel disegno di legge, verrebbero riversati sul
“Consiglio Direttivo del Parco”: un organo di nuova previsione, in linea con l’impianto della legge quadro n. 394/91,
che sostituirebbe il vigente Comitato Esecutivo, cui viene attribuito il potere deliberativo, e quindi
decisionale, su tutte le questioni generali della vita dell’Ente Parco nonché la ratifica di provvedimenti
adottati dal Presidente in casi di urgenza e indifferibilità.
La sua composizione viene estesa, inserendovi, oltre ai membri già previsti dalla L. R. 98/81, anche quattro
esperti in botanica, zoologia, geologia o vulcanologia e un giurista individuati dalle Università nel cui
ambito ricade il territorio del parco, due esperti designati dalle associazioni ambientaliste, due componenti
nominati rispettivamente dalle associazioni agricole, industriali dell’artigianato e del turismo, dal
Capo Dipartimentale delle Foreste e dal Sovrintendente dei Beni Culturali e Ambientali.
Da questa composizione mista, sembrerebbe emergere una volontà legislativa che avrebbe optato per una
formula organizzativa forte, radicata sul territorio, capace di esprimere ed, al tempo stesso, contemperarne
i diversi orientamenti tale da privilegiare, ancora una volta, come già accaduto per il nuovo CTS, un
approccio più tecnico scientifico che politico, in virtù di quell’autonomia di giudizio, di quel maggior
distacco conoscitivo che il mondo accademico e ambientalista si sarebbe ritagliato, durante il corso del
tempo, nell’esaminare e valutare le diverse opzioni possibili.
La partecipazione delle collettività locali, alle decisioni riguardanti il proprio territorio e la gestione
degli interessi del Parco, sembrerebbe essere assicurata dalla previsione di un’ “Assemblea Generale”,
cui possono partecipare rappresentanti delle organizzazioni di categorie ed associative economiche e
produttive sociali e culturali effettivamente operanti all’ interno del territorio del parco,
in ragione di un solo componente per categoria.
Si tratterebbe di un organo consultivo e propositivo che, però, non sembra in grado di incidere efficacemente
sulle determinazioni che l’Ente dovrebbe assumere, anche per la mancanza di norme che avrebbero dovuto
disciplinare forme di raccordo tra l’attività dell’Ente Parco e l’assemblea stessa.
Pertanto, le volontà espresse in sede assembleare, resterebbero rimesse alla discrezionalità dell’Ente
Parco in ordine alla loro valutazione e assunzione all’interno del processo formativo della sua volontà decisionale.
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